A.G. Fadini
Rinominare un quadro di Degas: danzatrici ucraine

Nel 1899 Edgar Degas dipinge uno dei suoi tanti quadri di ballerine. Il soggetto piace, è richiesto e vende bene.
Benché ricco e senza problemi economici, Degas accontenta la clientela.
Uno dei tanti titoli che Degas assegna a uno dei suoi quadri è: ”Danzatrici russe”. Nel 1899 l’Ucraina, come stato indipendente, non esisteva e Degas, come tutti noi fino al 1991, chiamava genericamente i domini dello Zar “Russia”, “la grande madre Russia”.
Sappiamo, con molta approssimazione, che quell’enorme territorio era ed è una moltitudine di popoli, etnie e minoranze, tenuta insieme dalla politica e dalle armi.
Dal 1922 i più precisi usavano poi il nome “URSS - Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche”, ma il 99% degli occidentali diceva: “la Russia”.
Nel 1986 quando ci fu l’incidente alla centrale nucleare di Cernobyl, si diceva e scriveva di una centrale russa e non ucraina come abbiamo imparato dopo, a causa dell’indegna invasione di Putin.
Fatta questa premessa è notizia recente che il Metropolitan Museum di New York ha rinominato questo quadro e ora il titolo è “Danzatrici ucraine”.
Non è il titolo assegnato da Edgar Degas.
Il cambio di titolo è stato giustificato così dal direttore:
"Il pensiero accademico si sta evolvendo rapidamente spinto da una maggiore consapevolezza e attenzione nei confronti della storia e cultura ucraina da quando è iniziata l'invasione russa nel 2022".
Peccato che Degas sia stato francese e in quel momento, per lui e per tutti, le danzatrici erano russe.
Cosa accadrebbe se si iniziassero a rinominare tutte le icone “russe”, ben sapendo che sono state dipinte in tutto il territorio dell’ex Unione sovietica?
Iniziamo a modificare i titoli delle opere d’arte seguendo le mappe delle situazioni politiche?
Diceva Giorgio Gaber: “Quando è moda è moda”.
In realtà non è con queste stupidaggini che si dimostra la solidarietà con il più volte massacrato popolo ucraino, ma con azioni politiche incisive e serie che possano imporre la pace.
La guerra non è arte.
Andrea Giuseppe Fadini